UN GRANDE SCONOSCIUTO DEL
SEICENTO
Indimenticabile vescovo di Campagna
Nel 2006 ricorre il 4° centenario
della nascita
Ritratto di Juan Caramuel.
Ma chi era Mons. Giovanni
Caramuele? Juan Caramuel y Lobkowitz, questo era il suo nome, giunse poco più
che cinquantenne, nel 1657, come Vescovo a Campagna, destinatovi da Papa
Alessandro VII (Fabio Chigi). Splendido ed ellittico come i frontespizi dei suoi
numerosi libri.
Monaco cistercense, gentiluomo,
dotto e avventuriero, matematico e politico, probabilista e architetto, gran
campione del lassismo, tra gli inventori del sistema binario e dei caratteri
mobili nel mondo della stampa, filosofo, grafico, tipografo, editore, grande
scrittore ed erudito del Seicento. Juan Caramuel era nato il 23 maggio 1606 a
Madrid dal Conte Lorenzo, cultore di scienze astronomiche, di origine fiamminga
e dalla madre di origine tedesca. Studiò in Spagna.
Subito da fanciullo mostrò la
straordinaria potenza del suo intelletto: a 11 anni pubblicò la prima opera, a
15 anni si laureò in filosofia, a 17 anni entrò nel monastero della Spina
dell'ordine dei Cistercensi. Si laureò, poi, in teologia.
Genio enciclopedico, ammirato, già
invidiato da tutto il mondo, si mostrò abile architetto nell'arte militare.
Conosciutone il poliedrico valore militare, l'Imperatore Ferdinando III, gli
fece ispezionare le fortezze d'Ungheria, perché le ricostruisse. Frequentò la
corte di Cristina di Svezia. Prima della sua nomina a Vescovo di Campagna e
Satriano, nel Regno di Napoli, avvenuta il 4 luglio 1657, Caramuel aveva
peregrinato lungo tutta l'Europa culturale del 600: in Spagna e in Portogallo
nelle città di Salamanca, Coimbra e Lisbona; passò nei Paesi Bassi e in Germania
a Lovanio, Bruxelles, Anversa, Colonia, Spira, Magonza; poi a Praga e infine in
Italia.
In queste città aveva conosciuto e
corrisposto con Descartes, Gassendi, Butkens, Rubens, Marcus Marci, Athanasius
Kircher e tanti altri.
Caramuel, che aveva pubblicato gran
parte delle sue opere nei maggiori centri dell'editoria europea, a Campagna
trovò difficoltà a reperire tipografi esperti e caratteri rari indispensabili
alle sue edizioni; decise così di costruire egli stesso una stamperia, forse con
maestranze fatte giungere dalla Germania, prima a Sant'Angelo Le Fratte e poi a
Campagna. Chiamò la sua tipografia "Arca Santa”.
Al suo arrivo a Campagna, poi,
ereditò una diocesi rovinata dalla peste del 1656, che vedeva ridotti i
sacerdoti da 159 a soli 25, e gli abitanti da 5000 a 2000. Amò sommamente la
solitudine, per cui, ogni anno, si ritirò a villeggiare nell'eremo di San
Michele, incavato in una rupe del Montenero di Campagna. Nel Settembre del 1672
veniva trasferito a Vigevano, dove disegnò la facciata e la piazza antistante la
Cattedrale. Criticò aspramente il progetto del Bernini del Colonnato di Piazza
San Pietro a Roma.
Condusse una vita irrequieta ed
errabonda. L'otto Settembre 1682, logorato dalle fatiche, dalle lotte e dall'età
(76 anni) morì compianto da tutti i popoli, tra i quali aveva peregrinato ed ai
quali aveva profuso i suoi multiformi tesori di mente e di cuore, di arte e di
fede. Letterato e poeta, grande pastore e riformatore, fu uomo eruditissimo:
compitava su ogni argomento dello scibile umano, conoscitore di 24 lingue,
scrittore di più di 70 opere. Penna e mano prolifiche, che si fermeranno solo
davanti alla morte. Di questa poliedrica e mastodontica produzione di Caramuel,
molte opere sono andate perdute, la maggior parte è dispersa nelle varie
Biblioteche del mondo.
Nostro voto e nostro lavoro è di
rintracciare tutte le opere ancora esistenti e mettere al corrente i dotti dei
dati catalogogici.
Gli perdoniamo i facili errori di
dottrina e di governo in cui cadde, specialmente molte sue affermazioni ed
opinioni dogmatiche e morali azzardate. Ricordiamo a sua lode la becera che
Sant'Alfonso gli rivolse, chiamandolo “ Laxistarum facile princeps ".
Il
frontespizio della Rhytmicam e il controfrontespizio del Mathesis
Biceps, alcuni dei libri stampati a Campagna. |
Nel
Regno di NapoliVescovo a
Campagna
Campagna si adagia sulle
pendici meridionali dei Monti Picentini, in una gola attraversata dal fiume
Tenza. Fu creata diocesi cinque anni prima di Vigevano, anch'essa da Clemente
VII, il 19 giugno 1525 su richiesta di Carlo V. La bolla di erezione inizia,
come quella per Vigevano, con le parole Pro Excellenti, forse seguendo
un formulario curiale. La nuova diocesi fu unita aeque et principaliter a quella di Satriano in rovina. Nel 1600 la diocesi di
Campagna e Satriano situata, dice il Tadisi, «fra monti e di sottile entrata»,
era suffraganea di Salerno. Satriano era stata incendiata per ordine della
regina Giovanna in punizione dei Satrianesi che le avevano rapito una sua dama
molto avvenente. II Caramuel racconta che
per scampare all'incendio, il vescovo di Satriano si rifugiò con alcuni canonici
a Sant'Angelo, località distante quattro miglia dal colle su cui sorgeva
Satriano. Nello stesso manoscritto
il Caramuel lamenta che «in tutto il Regno di Napoli i benefici sono
poverissimi, i privilegi intaccati, le chiese spogliate, le stesse mense
episcopali povere, per non dire di fame». Ma dovevano essere sempre meglio
imbandite di quelle dei parroci, come ora sentiremo. II Caramuel succedeva a
Mons. Avila, che il Tadisi dice essere stato « Predicator sottilissimo,
ed eruditissimo». Titolo che gli diede lo stesso Caramuel nel Pandoxion. L'esempio che porta come prova non convince però nessuno. Racconta infatti
il Caramuel che il suo predecessore dava questa spiegazione del perché nella
Messa, al Vangelo, si canti sempre dalla Chiesa: In illo tempore, in
quel tempo. Per rispondere, diceva l'Avila, agli eretici, che dicono la Sede
apostolica depravata, perché né il papa né i vescovi vivono poveri come gli
apostoli. Questi vivevano illo tempore; il papa e il vescovo nel nostro
tempo. «Cambiati i tempi,
cambia il modo di vedere e di giudicare, e una volta la povertà portava alla
venerazione, oggi invece se i vescovi non avessero vesti decorose e conveniente
servitù sarebbero disprezzati. Rimane dunque il medesimo fine, la riverenza,
mentre i mezzi cambiano con i tempi; sono opportuni ora gli uni ora gli altri,
pur che ci facciano conseguire il fine». Fin qui l'Avila, che sembra parlare
come il Machiavelli. E il Caramuel, come noi, non era del tutto persuaso da un
così bel ragionamento e concludeva: «Però ora alcuni prelati esagerano nei
mezzi, e non li scuso». Il Caramuel non era
certo attaccato alle ricchezze. In più di una occasione gli furono rubate molte
migliaia di fiorini. Ma non se ne dolse mai eccessivamente. Chiamava l'oro e
l'argento terra rossa e bianca e nelle sua Theologia moralis
fundamentalis sulla questione della materia necessaria per aver la colpa
nel furto, dice: «Se gli uomini stimassero l'oro cosi poco, come lo stimo io,
non basterebbero mille scudi». Il Tadisi asserisce
perfino che il Caramuel «non conosceva le Monete, né il loro valore, e in Italia
non ne spese, e non ne maneggiò se non per farne limosine». Racconta che a Roma
donò ad un povero uno zecchino credendolo un giulio; avvertito
come di una prodigalità, rispose: «Ebbene buon pro gli faccia». Questo distacco
dalle cose non gli era innato; fu una maturazione spirituale. Egli confessa che
«nel bollore della mia Adolescenza mi mettevo in viaggio con assoluta
determinazione di difendere cinquanta o cento scudi». Poi lungo il viaggio
della sua vita apprese il valore della povertà; tanto da dire che i monasteri
riformati a forza dal luterano Gustavo Adolfo dovevano al re svedese non odio,
ma gratitudine, perché, spogliati dei loro beni, ritornavano al primitivo stato,
secondo lo spirito del fondatore. Non tutti gli abati
interessati erano però del suo parere. La mentalità trionfalistica del tempo
esigeva il fasto come sostegno dell'autorità e come segno di successo della vera
Chiesa. Veramente anche al
Caramuel piaceva aver qualcosa in mano. Scriveva «Quando ho la penna in mano,
non sento il bisogno d'altro». Ma a Campagna sembrò che anche la penna gli fosse
caduta di mano. Per quattro anni non pubblicò alcuna opera. Egli stentò molto ad
adattarsi al nuovo ambiente. Tutto gli sembrava uggioso. Il primo incontro con i
suoi diocesani dovette sembrargli molto deludente se il meglio è stato espresso
dai programmi-anagrammi, cosi insipidi, del canonico decano Bartolomeo
Griffi. Chi proprio volesse
leggerli, li trova nel Tadisi, il quale non sa riferire altro che ovvie
supposizioni riguardo all'accoglienza fatta al Caramuel nella chiesa cattedrale,
dedicata a S. Maria della Pace. Il Caramuel ebbe verso
il Griffi, più che verso i suoi anagrammi, una sincera stima. Nella Rhytmica ricorda una sua devota Comoedia, scritta nel 1662, il cui primo
personaggio era la morte con la falce nella mano destra e la clessidra nella
sinistra. Riporta, più avanti, anche qualche poesia del medesimo decano. In
quella a lode della Madonna c'è un verso un po' ambiguo: Coeli famelicos
cibet Canonicos. ( la Madonna ) cibi i canonici famelici del cielo. A ciascuno l'interpretazione secondo il proprio spirito. A Campagna ebbe
come vicari generali Crisostomo Acconcia e Domenico Piatti. Il palazzo vescovile non
era proprio quello adatto ad uno studioso. Appena giuntovi il Caramuel dovette
accorgersi che era attiguo a una fragorosa ruota di un mulino ad acqua. Dirà poi
agli affezionati canonici di Vigevano di aver allora pensato: «Io credevo che il
Papa mi avesse fatto Vescovo, ed ora mi trovo che mi ha fatto Auditore di
Ruota», e soggiungeva che «là lo avevano confinato i suoi peccati sotto specie
di promozione». II Tadisi dal canto suo,
ma riecheggiando in parte espressioni dello stesso Caramuel, aggiunge: «Udivasi
in quel luogo un orrendo muggir di buoi, un fastidioso belar di pecore, uno
spaventoso fragor di acque, e di torrenti, per non dir nulla dell'ulular delle
fiere, dello scrosciare degli alberi, dello fischiare de' venti». Tale era la sposa toccata in sorte al Caramuel!
Le
prime cure episcopali
E gli abitanti? C'erano certo
semplici e povere persone, verso le quali, secondo buone testimonianze, il
Caramuel si sentiva paternamente portato con affetto e soprattutto con
liberalità, anche se i 720 scudi d'oro annui della mensa vescovile erano pochi
per tanti bisogni. Insegnava egli stesso la grammatica
ai fanciulli di Campagna, come un maestro elementare, ingegnandosi anche di
aggiornare il metodo di insegnamento. Per facilitare lo Studio compose per i
piccoli studenti una grammatica con figure. Non era la prima volta che il
Caramuel ricorreva alle illustrazioni didattiche. A Venezia aveva fatto stampare
delle curiose carte da gioco con le quali gli studenti potevano imparare a
comporre versi giocando. Froebel è nato più di un secolo dopo! L'attenzione del
Caramuel ai metodi di insegnamento fu costante. Nel Physik-Ethikon si
chiede se sia meglio far imparare prima a scrivere o prima a leggere. Egli
preferisce prima fare scrivere. Ma i suoi diocesani non erano tutti disposti ad
imparare le regole della grammatica, e tanto meno quelle del bel vivere. II Padre Filippo di S. Erasmo
ricorda le sue visite agli ammalati e ai poveri; la sua giustizia incorrotta nel
distribuire favori o incarichi, ma anche la rigorosa costanza nel
fulminare le ecclesiastiche censure. Dovette però accorgersi ben presto che le
sue orazioni anche se armate di scomuniche si spuntavano
contro gli antichi e ferrei intrighi della camorra, al punto di dover egli, il
Caramuel, difendere i ladri e gli assassini. II Tadisi racconta qualche esempio.
Quello del facinoroso Giacomo Massillotti, reo di atroce delitto. Nonostante
ciò, ebbe costui - il come si deve supporre - un salvacondotto dalle autorità di
Napoli e si ritirò nella chiesa cattedrale di Campagna, un luogo che godeva
dell'immunità. Ma il governatore di Campagna che aveva i suoi buoni motivi, lo fece estrarre con violenza dal Tempio e carcerollo. Il Caramuel alzò la voce contro il
governatore per aver violato i diritti della Chiesa e reclamò la restituzione
del reo. Il governatore per finire la questione fece tagliare la testa al
Massillotti: venne così a mancare la materia del contendere. Tuttavia non mancò
al Caramuel il coraggio di scrivere addirittura un copioso Sintamma contro l'azione del governatore e lo spedì al supremo tribunale di Napoli. Ma - conclude il Tadisi - quello scritto per non so quali fini
politici non ebbe effetto. Al Caramuel non rimase che lanciare
la scomunica contro Camillo Bonomo, Ottavio Corazzo e gli altri complici
dell'uccisione del Massillotti. Chi muore giace e chi vive si dà pace. Un altro caso riguarda
l'antichissima e sempre efficace usanza delle bustarelle. Alcuni ladri avevano
rubato a Campagna gli oggetti d'oro e d'argento da una chiesa, ricavandone
quattromila ducati. Era passata solo una settimana, e i ladroni tornarono con un
salvacondotto a Campagna. Il Caramuel li convocò perché restituissero il mal
tolto. Ma essi poterono persuaderlo di non aver più un soldo, perché, per
ottener il salvacondotto avevano sborsati mille ducati al signor Tale: Che
tante centinaja al Tal altro: Che tanti e tanti a questi, e a quegli… Al Caramuel non rimase che
raccomandarsi a Dio e far elemosina a quei miserabili. In una lettera scritta a
Sant'Angelo Le Fratte il 18 novembre 1670, e riportata nella Polymneia del Trismegistus , il Caramuel riferisce la morte del brigante
detto Homo fulmineo , ucciso da un pastore di porci con una sassata.
Nell'agonia il malandrino si mordeva per dispetto il dito, lamentandosi ad alta
voce: un uomo da niente mi ha ammazzato! Nel regno di Napoli i briganti di
allora portavano nomi che da soli incutevano terrore, come Infernale, Briareo,
Centouomo, Tigre, Leone, Toro. In quei tempi i vescovi avevano
ancora i propri tribunali, giudicavano i pubblici peccatori, mantenevano
prigioni e guardie. Anche il Caramuel aveva le sue guardie del corpo, che lo
accompagnavano perfino in cattedrale e lo assistevano durante le funzioni. Era
il meno che potesse fare, se pensiamo che a Campagna, come nel resto del
napoletano, i sacrestani erano chiamati diaconi selvaggi. II Caramuel cercò di mettere un po'
di ordine e di serietà nel suo tribunale ecclesiastico, dove nelle cause al
posto degli argomenti si usavano pianti e schiamazzi e si stancavano i giudici
con prediche e declamazioni. A Campagna usò qualche volta anche la prigione. Il
decreto di carcerazione dell'arciprete del Duomo, Lorenzo de Dominicis, reca la
data del 4 maggio 1662. Non sappiamo se ebbe esecuzione, perché l'arciprete,
accusato di molteplici delitti circa mores e di altri ancora più gravi,
falso, spergiuro e sacrilego, si era reso latitante. Quando era abate, il Caramuel
preferiva invece punire i monaci colpevoli con il farli lavorare e pregare di
più e non con il carcere, dove, diceva, non hanno il peso del loro notturno, e
così mangiano, dormono, e…ingrassano. Storici, ricercatori e studiosi di
Juan Caramuel:
Jacopo Antonio Tadisi – Venezia -
1760; Dino Pastine – Firenze – 1975; Emma Manuello Pugno – “Graphicus” – 1969;
Pietro Bellazzi – Vigevano – 1982; Benedetto Croce – Napoli – 1925; Antonio
Moreno; Hector Hernandez Nieto – Chicago; Gabriele De Rosa; Antonio Cestaro-
Università di Salerno; Mons. Alberto Gibboni, Don Ludovico Cutino, Gaetano
D'Ambrosio, Gelsomino D'Ambrosio, Antonio Luongo (ebanista) – Campagna.